itinerario 5

Le tradizioni di San Giuseppe

Scegli una casa vacanze Keys of Sicily e vieni a scoprire quali tradizioni accompagnano il 19 Marzo in Sicilia : in questo giorno non si celebra soltanto la festa del Papà, ma soprattutto quella di San Giuseppe, che in Sicilia rappresenta la spiritualità dell’isola. Scopriamo insieme le tradizioni che accompagnano questo giorno. Le cene di San Giuseppe negli Iblei Le Cene di San Giuseppe negli Iblei sono dei veri e propri banchetti votivi. Si fanno un pò in tutta la Sicilia e sono ancora presenti nella zona del Ragusano. Si rinnovano ogni anno in un trionfo di sapori, di profumi e di colori. Le Cene di San Giuseppe di solito vengono allestite nelle case private, sono privilegiati i pian terreni, rispettando le tradizioni locali e sono a carattere familiare. Sono cene che solitamente vengono fatte per “grazia ricevuta“ che diventano talvolta l’ostentazione pubblica di un offerta rivolta al Santo e alla Sacra Famiglia. A Santa Croce Camerina , la celebrazione della festa in onore di San Giuseppe, risale al 1830 e venne istituita, forse per la prima volta, ad opera del Barone Guglielmo Vitale. Per la ricorrenza di San Giuseppe, dove la tradizione è ancora molto sentita, vengono allestite le tradizionali cene in onore del Santo. Le Cene di San Giuseppe negli Iblei, hanno un origine antichissima e come anticipato, vengono imbandite, per Grazia ricevuta. Come la tradizione vuole, alla parete che sovrasta l’altare viene attaccato un Arazzo, dove viene posto un quadro raffigurante la Sacra Famiglia, contornato da limoni, arance amare e rametti di zagare. Sull’altare (la tavola imbandita), arde una lucerna e accanto viene posto ogni ben di Dio. Di solito si trovano le specialità del territorio che fanno bella mostra di se, un misto tra dolci e salati. Sull’altare, anticamente si trovavano anche dei piatti di frumento, di ceci o di lenticchie germogliati e svariate forme di pane: il pane a forma di “vastuni” (bastone), i “rusiddi” il pane a forma di rosa”, a forma di”sfera”, i “cucciddati“, a “varva” (la barba di San Giuseppe), pesci, galletti, pere, canestri, e immancabilmente il pane a forma di iniziali del Santo, la S e la G. In queste cene, durante il rituale delle tavole, vengono serviti i piatti che contengono le pietanze di cibi tradizionali, che hanno un significato simbolico e propiziatorio, immancabili le fritture si di pesce che le classiche polpette di patate, gli arancini i finocchi e le arance. Nelle cene di San Giuseppe degli Iblei, anticamente non mancavano, sapientemente disposti anche le varie tipologie di biscotti locali :i savoiardi, i scaurati, i biscotti al miele, i biscotti da inzuppo, i biscotti con il mosto, quelli al latte. Oggi giorno si trovano anche altre tipologie di biscotti più moderni. I biscotti al burro, e le varie specialità del Paese o della famiglia che prepara la cena. Oltre ai biscotti, sulla tavola si trovano anche i nostri dolci tipici: la Mpagnuccata, detto anche il torrone dei poveri, il gelo limone e il gelo di arancia, Non mancano, gli arancini , i pastizzi ( scacce ripiene di verdura) e così via
A centro della tavola, di solito è sempre presente, un piatto colmo di primizie e su tutto l’altare e intorno vengono disposti moltissimi e variopinti fiori. Pane di San Giuseppe Particolarmente laboriosa è la manifattura dei “pani dei Santi”, o “Pane di San Giuseppe” di solito affidato alle sapienti mani delle donne più esperte che sanno creare veri e propri capolavori in miniatura dalle forme più varie. Tutto il pane, prima della “‘nfurnata”, viene reso lucido da una pennellata di chiara d’uovo sbattuto con succo di limone e, quando il colore dorato ricopre le teglie, la cottura è ultimata. Frutto certosino e paziente di un lungo lavoro prodotto da mani sapienti che hanno la volontà di non perdere e di tramandare questa bellissima tradizione. Il tutto viene consumato durante il pranzo del 19 marzo dai cosiddetti “santi” impersonati da amici o parenti delle famiglie che vanno da un numero minimo di tre (San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna) a un numero massimo di tredici, sempre comunque di numero dispari. Che cosa è la “Tavola di San Giuseppe” Secondo una leggenda, nel Medioevo in Sicilia vi fu una grave siccità che provocò una carestia inarrestabile: molti morirono di fame, e i siciliani si rivolsero a San Giuseppe, pregandolo di liberare l’isola da questo flagello. Così fu allestita la “Tavola di San Giuseppe”: un altare decorato con cibi prelibati e speciali, fiori e altri oggetti per ringraziarlo dei suoi grandi miracoli. Da allora, ogni anno, si rinnova questa tradizione e in diversi paesi si onora il Santo in modo diverso.
Le manifestazioni più importanti sono a Santa Croce Camerina, che risale al 1832, dove si preparano delle tavolate chiamate ‘’Cene’’, allestite dai fedeli con devozione. A Bagheria la ricorrenza è più sentita perchè San Giuseppe è il patrono del paese, che si trova a pochi chilometri da Palermo, noto per la bellezza delle sue ville barocche. Il patrono si festeggia due volte l’anno: a marzo e ad agosto. A Palermo la festa è legata alla famosa ‘’Vampa di San Giuseppe’”: si prepara qualche giorno prima un grande falò con pezzi di legno, vecchi mobili che si accende il giorno di San Giuseppe e la gente urla ‘’Viva San Giuseppe’’. La festività è accompagnata anche da piatti tipici, come il Minestrone di San Giuseppe, un ottimo primo piatto legato alla tradizione della solidarietà e della condivisione. Infatti, il 19 marzo, le famiglie siciliane privilegiate si riuniscono per preparare calderoni di minestra da servire ai bisognosi. Si prepara con verdure e pasta. U Maccu, una crema di fave servita con la pasta o da sola. La ‘’Pasta con le sarde”. Il “Pane di San Giuseppe” , una pagnotta di farina di semola, arricchita dai semi di finocchio e segnata con un taglio a croce, che si benedice in chiesa e si distribuisce ai parrocchiani. Ultime, ma non per importanza, sono le Sfince di San Giuseppe, ovvero delle frittelle farcite con ricotta. Nella provincia di Trapani, a Poggioreale San Giuseppe si festeggia con la processione del simulacro (Santo) e la visita degli altari. L’allestimento di questi risale al ‘Settecento e i devoti, lo fanno per ricambiare il santo della grazia ricevuta. Gli altari sono adornati con rami di alloro e di arance, pani votivi, dolci tipici tra cui: lo squartucciato: un dolce le cui origini risalgono a tempi lontanissimi, emblema della fertilità e dell’abbondanza che raffigura il Bastone fiorito di San Giuseppe, uno dei simboli della tradizione paleo-cristiana. Il termine “squartucciato” significa lavorato finemente ad intaglio in modo che la parte intagliata viene asportata per fare risaltare le maestose forme come veri e propri ricami.I pani votivi denominati “cucciddata”, invece, hanno forma rotonda e ciascun pane pesa otto-dieci chili. Secondo la tradizione il numero dei pani non può essere inferiore a tre, in omaggio al numero dei componenti della Sacra Famiglia. Ogni anno a marzo per la festa di San Giuseppe di Poggioreale, gli altari vengono visti da molti visitatori provenienti da tutte le province della regione. Anche a Salemi, la tradizione degli altari di San Giuseppe è molto sentita. Infatti, chi realizza gli altari è molto attento e meticoloso nel farlo. Qui, il periodo della festa di San Giuseppe dura una settimana intera, dal 14 al 22 marzo, ma la sua celebrazione ha luogo il 19 marzo. Per tutta la settimana si potranno fare delle visite guidate, per le “Cene di San Giuseppe”: gli altari, decorati con pani votivi, agrumi e il bosso, una pianta cespugliosa. La preparazione degli altari coinvolge donne e uomini. Gli uomini realizzano un componimento, che ha una base in ferro e la parte superiore di canne intrecciate che si chiudono a forma di cupola, formando un piccolo tempio rivestito di alloro e bosso. All’interno viene posto un altare con la rappresentazione della Sacra Famiglia. Le donne, invece, sono le addette alla preparazione dei pani, modellati secondo vari simboli religiosi tra cui: il pesce, il sole (Dio) e la luna (la Madonna), simboli della Pentecoste e simboli della natura. Negli altari si fa una distinzione tra i “pani da mensa” e i “pani dei santi”. I primi vengono appesi alla struttura e i secondi adagiati sull’altare stesso. Ai piedi degli altari si mette un agnello di pane o di gesso, dei mazzi di finocchi, germogli di frumento e un asciugamano piegato a forma di “M”, tutti questi simboli hanno significati religiosi.

RICETTE DELLA FESTA DI S. GIUSEPPE

Tantissime sono i piatti della tradizione legati a questa ricorrenza. Si tratta per lo più di piatti semplici, realizzati con ingredienti poveri. Le tradizioni legate alle celebrazioni del Santo sono innumerevoli, particolarmente sentite e spesso caratterizzate da cibi speciali legati a tradizioni antiche. I cibi serviti sono essenzialmente semplici e stagionali, non mancano asparagi, finocchi, carciofi e cavolfiori accompagnati da uova, legumi e frutta secca. Ecco alcune delle innumerevoli pietanze preparate durante la festa: -la pasta condita con la mollica di pane raffermo, prezzemolo tritato e zucchero. -il riso con il finocchietto selvatico e il pan grattato. -il minestrone di San Giuseppe, una minestra di pasta, legumi e verdure che secondo la tradizione veniva preparata in grossi pentoloni e poi distribuita su grandi tavolate; -il pane di S. Giuseppe, tipico della Provincia di Palermo, una pagnotta tonda, incisa in superficie, con dentro semi di finocchio, che ancora oggi viene benedetto in chiesa; -la pasta con le sarde e finocchietto selvatico. Una vera prelibatezza che trae le sue origini dalla dominazione araba; -la Sfincia di S. Giuseppe, una frittella piuttosto gonfia, ricoperta di crema di ricotta con scaglie di cioccolato e frutta candita; -le zeppole di riso con miele; -le“crispelle di S. Giuseppe”; -la salsiccia al sugo con le patate, le braciole al forno con le patate e alla brace, i polpettoni e falsomagri al sugo cotti al forno; -la pignolata, i cannoli, la frutta martorana e le cassatine; -i ricchissimi antipasti a base di salumi e formaggi tipici, accompagnati da olive condite e buon vino.

TRADIZIONI RELIGIOSE DELLA FESTA DI S. GIUSEPPE

La città di Caccamo dedica ben due manifestazioni alla festa di San Giuseppe,
entrambe organizzate dalla Chiesa della SS Annunziata. Due domeniche prima del 19
va in scena A’ Retina, ovvero una sfilata di muli bardati a festa accompagnati dalla
banda musicale, che fa il giro del paese raccogliendo offerte in natura, le cosiddette
prumisioni (offerte) che i devoti fanno al Santo. Le due domeniche precedenti alla
festa, sempre alla chiesa dell’Annunziata, viene accesa A’ Scalunata di San Giuseppe,
una lunga scala di ceri illuminati dietro l’altare, in cima alla quale si trova la statua di
S. Giuseppe col Bambino.
In molti paesi vengono allestiti gli Altari di San Giuseppe e vengono imbandite le
Tavolate di S. Giuseppe, in cui intere famiglie, in virtù di una promessa fatta al santo,
contribuiscono nella preparazione di cibi e pietanze tipiche da offrire ai poveri. Questa
tradizione è molto sentita a Salemi (dove negli ultimi anni la festa ha assunto toni più
folkloristici, richiamando l’attenzione di molti turisti), Niscemi, Leonfronte,
Salaparuta, Balestrate, Borgetto, ecc…
A Godrano si organizzano anche rappresentazioni tradizionali: protagonisti figuranti
che simulano una Sacra Famiglia.
A Prizzi si svolge il “Convito di San Giuseppe”. A Dattilo e a Paceco invece c’è il
tradizionale “‘Nmitu di San Giuseppe”: qui si distribuisce il pane votivo e si svolge la
sfilata del Carro dei pani. Anche a Canicattì – in provincia di Agrigento – vige la
tradizione di preparare un ricco pranzo così da offrirlo alla Sacra Famiglia.
A Ribera i festeggiamenti iniziano dalla domenica precedente, con l’entrata
dell’alloro, ovvero una sfilata di uomini a cavallo che reggono rami di alloro, seguiti
da una torre alta 10 metri, ricoperta da varie forme di pane benedetto e sormontata
dal quadro di San Giuseppe, trainata da un carro.
Diffuse, specie in molti quartieri del centro storico di Palermo, sono le spettacolari
Vampe di S. Giuseppe, degli immensi falò, accesi la sera del 18 marzo, che
praticamente illuminano a giorno l’intero circondario. Una tradizione molto antica e
molto sentita, che nonostante la sua pericolosità si ripete tutti gli anni.
A Scicli, in provincia di Ragusa, la notte del 16 marzo, fin dal medioevo si fa la
Cavalcata di S. Giuseppe: si passa a cavallo per la città e intanto si accendono i fuochi
benedetti.*
Tra le immagini devote del popolo siciliano, quella di San Giuseppe conserva una
nutrita devozione per questa figura patriarcale, e questo Santo è considerato “padre
di provvidenza”.
La consuetudine vuole che i devoti onorino il Santo prodigandosi in opere di carità
verso famiglie povere affinché non manchi mai il pane.
Nella giornata di San Giuseppe è tradizione invitare alla mensa tre bambini poveri,
che rievocano la fuga di Gesù, Giuseppe e Maria dall’Egitto, ai quali viene servito il
pranzo, tra canti e filastrocche dialettali.
Le vampe di San Giuseppe a Palermo
Gran fermento tra bambini e ragazzi che di casa in casa percorrevano le anguste vie
del centro storico e i brulicanti quartieri popolari di Palermo.
Fermento nei giorni prima del 18 marzo; la tradizione vuole infatti che nel pomeriggio
di quel giorno, con il rito delle “vampe”, si annunci la festa di S. Giuseppe.
Le vecchie facciate delle case vengono rischiarate a giorno da giganteschi falò e spesso
le cataste assumono tali dimensioni e le fiamme diventano così alte che è necessario
l’intervento dei vigili del fuoco; tanto è vero che ogni anno le autorità cittadine
tentano invano di proibire l’usanza.
Disposti a cerchio intorno al fuoco i ragazzi girano intorno alle fiamme e, a fiamme
quasi esaurite, saltano sulla brace, cantando e gridando un tonante “Viva San
Giuseppe”. Altri, con un continuo via vai, cercheranno di alimentare ancora il fuoco
per non farlo morire.
Al di là delle pur validissime interpretazioni antropologiche, la notte delle vampe è un
momento di grande aggregazione, che vede gli adulti impegnati a tenere lontano dal
fuoco i più piccoli, mentre la grande folla si riunisce per guardare affascinata la propria
roba che brucia.
Questo rito, a Palermo ,si attribuisce ad un’origine remotissima connessa al culto del
sole; infatti il rito coincide con una data astronomica: l’equinozio di primavera.
Con il fuoco si vuole scacciare il freddo e la magra stagione, salutando l’arrivo della
primavera e la imminente stagione dell’abbondanza.
Riscaldati e stanchi, nessuno rinuncia a gustare il dolce tradizionale palermitano, le
“sfinci” di San Giuseppe, dolcissimi babà ripieni con crema di ricotta e gocce di
pistacchio.
Ribera (Agrigento)
L’usanza è quella di raccogliere dei rami di alloro per rivestire la Stragula, una torre di
legno alta circa una decina di metri, collocata sopra un grande carro e decorata da
forme di grandi pani chiamate Cudduri, legati fra loro per mezzo di cordicelle.
La Stragula, trainata da due buoi, rappresenta, secondo la tradizione popolare,
l’abbondanza e la gloria del santo patriarca mediante alcuni elementi carichi di valore
simbolico, quali il pane e i rami di alloro
Campobello di Mazara (Trapani)
Il rito dell’Altare si articola in quattro fasi: la questua, l’allestimento dell’altare, il
banchetto, il cenone. Per la questua la padrona di casa deve chiedere agli abitanti del
rione – ripetendo “ci dati nenti a Sangiusippuzzu” – offerte destinate al banchetto e
al cenone.
L’altare viene allestito in un vano della casa che si affaccia sulla strada. L’ingresso è
sormontato da rami di palme collocati anche agli angoli della strada per segnalare ai
visitatori la presenza dell’Altare.
Le pareti della stanza sono adornate con coperte sontuose, il soffitto è coperto con
veli da sposa e oggetti doro.
L’Altare è coperto con tovaglie di lino ricamate. Il giorno della festa la Sacra Famiglia
preceduta dal suono di un tamburo suonato dal “tammurinaru” è accompagnata in
Chiesa per la Messa.
Al termine i santi percorrono le vie del paese per tornare a casa. Qui Giuseppe bussa
alla porta per due volte chiedendo ospitalità che viene rifiutata. Solo la terza volta la
porta si apre, dopo che il “tammurinaru” annuncia che si tratta della Sacra famiglia
che viene accolta gridando: “Viva Gesù, Giuseppe e Maria”.
Gibellina (Trapani)
La mattina del 19 la congregazione si reca a casa di San Giuseppe dove si trovava
anche Gesù.
Il corteo prosegue verso casa della Madonna e si muove per assistere alla Messa.
Segue il pranzo. Nel pomeriggio, i tre personaggi si recano in chiesa per partecipare
alla processione.
La piazza antistante la Chiesa del centro é gremita, i congregati di San Giuseppe
distribuiscono le candele e predispongono la processione.
Chi ha fatto voto di un’offerta fa segno alla processione di fermarsi e consegna la
somma alla congregazione che l’appunta al vestito del santo.
Vita (Trapani)
Ospiti d’onore e protagonisti di l’artaru sono i “virgineddi” o “santi” che
rappresentano la Sacra Famiglia.
A volte sono cinque con l’aggiunta di S. Anna e S. Gioacchino.
I “santi” vengono scelti fra le persone più bisognose del paese. Per loro è preparata la
cena composta da tante pietanze tipiche del posto come la pasta con finocchietti,
salsa di pomodoro e pan grattato tostato, e, fra i dolci, “li cassateddì’, “i cannoli” e la
“pignulata”.
Monreale (Palermo)
La festa di San Giuseppe è molto sentita data la presenza, nel paese, della
congregazione dei falegnami.
Tra le tradizioni più ricche di significato spicca quella del “Sacro Manto” e l’”Altarino
di San Giuseppe”. La prima prevede che “Al fine di ricordare i 30 anni di vita che San
Giuseppe trascorse assieme a Gesù è bene recitare le preghiere del Sacro Manto per
30 giorni consecutivi”.
L’”Altarino di San Giuseppe”, invece, è l’altare costruito in casa di chi ha chiesto o
ottenuto grazia dal santo.
L’ornamento principale è il pane “stretto e secco”, decorato come un ricamo.
Distaccata dall’altare c’è la mensa adorna di pani, arance, finocchi, pignolata, acqua,
vino e candele accese.
Il pranzo comincia con spicchi d’arancia, poi si passa al primo: pasta al sugo “‘ca
muddica”; mollica di pane grattugiato, abbrustolita e mischiata a formaggio piccante,
pepe e zucchero.
Numerosi canti echeggiano nella casa mentre i “santi” mangiano. Il più antico è
formato da 23 strofe in siciliano.
Gangi (Palermo)
I festeggiamenti cominciano settimane prima con celebrazioni religiose, “i sittini”, e
popolari.
La festa è preceduta dalla processione del Bambino Gesù,”U Bomminiddu”.
Essa viene celebrata in due Chiese: San Giuseppe dei “Ricchi” e San Giuseppe dei
“Poveri”, dove viene distribuito ai fedeli “u pani di San Giuseppi” (pani benedetti).
Già all’inizio del mese alcune famiglie usano “fari a San Giuseppi”, cioè organizzare un
pranzo (un tempo dedicato ai poveri ) a base di pasta e lenticchie, baccalà fritto,
finocchi bolliti, arancia, acqua e vino.
Salemi (Trapani)
E’ tradizione nel mese di marzo fare una promessa di voto al santo o ringraziarlo per
la grazia ricevuta.
I preparativi durano 8 giorni e durante questo periodo viene allestito l’altare in casa
e si provvede ad invitare un certo numero di bambini, in base al voto fatto, di solito
in numero di tre i quanto devono rappresentare la Sacra Famiglia: Maria ,Giuseppe e
il Bambin Gesù.
Un paio di giorni prima di ogni mercoledì del mese o il 19 marzo, il devoto che ha
fatto promessa di voto gira per il paese per chiedere delle offerte , che di solito
consistono in farina,olio,uova, o anche in danaro.
Questo atto penitenziale è la Questua, rituale comune non solo alla festa di san
Giuseppe ma anche ad altri santi patroni che si celebrano in Sicilia.
L’ altare viene decorato con molti rami di mirto e di alloro , mentre la preparazione
del pane impegna per diversi giorni e non solo le donne di casa ma anche quelle del
vicinato.

L’ impasto della farina segue un rituale ben preciso: I pani devono essere di peso e
dimensione diversi e le forme rappresentano fiori, frutta e animali, mentre la loro
collocazione sull’altare spetta per tradizione al capofamiglia.
Il segno dell’abbondanza nell’ altare è rappresentato dagli ortaggi , sopratutto dal
finocchio, e dalla frutta collocata in grandi cesti.
Al centro vengono invece disposti i Cucciddati, grandi forme di pani votivi. La forma
di pane dedicata al santo ne riproduce il bastone, u vastuni decorato con un giglio
simbolo di purezza; Il pane dedicato a Maria è decorato con una rosa che rappresenta
la verginità e guarnito di datteri (che secondo la tradizione la Vergine mangiò durante
la fuga in Egitto.), e da un ramo di palma simbolo di pace; questo pane è destinato
alla fanciulla che impersona la Madonna, mentre il pane dedicato a Gesù viene
decorato con gelsomini, con uccelli e con i simboli della sua passione.
I pani una volta benedetti dal parroco, saranno regalati a parenti e amici.
Questi pani votivi assumono nella maggior parte delle feste religiose un profondo
significato sacrale , a cui la festa di San Giuseppe allude esplicitamente poichè è legata
all’arcaico simbolismo agrario del rinnovamento della natura, che avviene proprio nel
mese di marzo.
Pietraperzia (Enna)
E’ consuetudine festeggiare il Santo con un grande banchetto pubblico.
Le pietanze sono offerte dagli abitanti del paese, mentre per rappresentare la Sacra
Famiglia vengono scelte tre persone povere che sono invitate a sedersi alla tavola per
consumare pubblicamente il pranzo votivo.
Dal 1922 si rappresenta uno spettacolo che rievoca la fuga in Egitto della Sacra
Famiglia. Alcuni personaggi in costume d’epoca che interpretano gli ufficiali di Erode,
di dirigono a cavallo verso la chiesa del Carmine, dove rimarranno in attesa.
I falegnami del paese , organizzatori dei festeggiamenti, si recano prima a casa del
ragazzo che è stato scelto per impersonare l’angelo e poi dai ragazzi che impersonano
Maria e Gesù e quindi tutti insieme si dirigono in corteo verso la chiesa di Santa Maria
dove li attende il ragazzo che impersona San Giuseppe.
Verso mezzogiorno inizia la messa con la partecipazione dei fedeli, e dopo la funzione
religiosa , parte la processione preceduta dall’angelo e dal bambino che impersona
Gesù tenuto per mano da San Giuseppe e Maria, quest’ultima seduta sull’asino.
Giunto davanti alla chiesa Madre, il corteo viene avvicinato da tre soldati di Erode che
annunciano a san Giuseppe che hanno avuto l’ordine di uccidere Gesù.
Lo spettacolo si conclude allorchè i soldati si rifiutano di compiere la loro missione e
tornano indietro.A questo punto i tre personaggi che rappresentano la Sacra Famiglia
salgono sul palco per consumare pubblicamente le pietanze che sono state preparate
per loro.
Scicli (Ragusa)
La Cavalcata di San Giuseppe
Che cosa è la Cavalcata di San Giuseppe. La Cavalcata è una manifestazione religiosa
a tutti gli effetti poiché rievoca la fuga della Sacra Famiglia in Egitto. Consiste nella
sfilata di cavalcature artisticamente bardate a mano con fiori, vere opere d’arte. Non
è una manifestazione ippica, anche se i cavalli sono magnifici esemplari e sono
splendidamente tenuti.
Eventi collaterali. Una importante e attraente anteprima della Festa cade nel sabato
precedente, nella frazione marinara di Donnalucata. Spesso si associa una sfilata di
carretti siciliani riccamente dipinti dagli artigiani locali e un mercatino di prodotti
tipici. Durante la settimana è possibile assistere alla bardatura dei cavalli e conoscere
i segreti dell’arte della bardatura presso il Museo della Bardatura (Scicli, via Spadaro).
La Festa. Innestata su un residuo di quei drammi sacri che si inscenavano nel Medio
Evo per propiziare un buon raccolto, gradualmente è stata “assimilata” dal
Cristianesimo per farne una festa religiosa in onore del Santo Patriarca.
Ricca di suggestioni è la lunga e laboriosa preparazione delle straordinarie bardature
dei cavalli; nei “dammusi” (ambienti a pianterreno delle abitazioni), un gran numero
di persone, su una orditura di rami di palme, ( oggi largamente sostituiti dalla tela di
juta), intesse migliaia di violaciocche (u bàlucu), componendo magnifici “quadretti”
raffiguranti la Sacra Famiglia e svariati simboli sacri.
I cavalli così bardati, montati da cavalieri vestiti con i caratteristici costumi della
tradizione contadina, muovono da un unico punto di raccolta, in prossimità della
piazza principale della città, dirigendosi verso il sagrato della chiesa dedicata al Santo;
qui, una commissione esterna esaminata l’originalità e l’effetto scenografico delle
bardature e dei “gruppi di cavalieri” e subito dopo, in un tripudio di suoni e al grido di
“PATRIA’ – PATRIA’ -PATRIARCA!, il coloratissimo corteo, con la Sacra Famiglia in testa,
si snoda per le vie della città dove, in vari punti e quartierisono accesi i “pagghiara”,
falo’ attorno ai quali si raccoglie la gente del vicinato in attesa del passaggio della
“Sacra Famiglia”.
Ad accrescere la suggestione della caratteristica sfilata si aggiungono i”ciaccari”: fasci
di ampelodesmo che i cavalieri e la gente del popolo tengono in mano, accesi, per “far
luce” alla Santa Famiglia.
Oltre il fatto religioso, aggiunge colore al folklore la competizione trai gruppi dei
“bardatori”, i partecipanti che, nella “gara” mettono il massimo impegno nel
realizzare manufatti di altissimo pregio artistico ed artigianale.
I cavalieri indossano pantaloni e gilet di velluto nero, camicia bianca ricamata, fascia
multicolore intessuta ai fianchi, fazzoletto rosso al collo e ancora burritta, stivali e pipa
di canna; ogni cavallo viene “scortato” da altri personaggi, che durante la serata si
alternano lungo il corteo.

Negli anni questa manifestazione si è dovuta adattare alle mutate condizioni della
città. La rete di metanizzazione sottostante la pavimentazione stradale non consente
più gli enormi falò, con le cataste di frasche e masserizie, che si accendevano al
passaggio della Sacra Famiglia e dove venivano arrostite succulente pietanze a base
di carne; tuttavia la tradizione prosegue e intorno a piccoli fuochi accesi nei quartieri
della tradizione ci si riunisce per banchettare con salsicce e braciole che vengono
offerte ai passanti.
Restano intatti, gli elementi dell’antico rito e con essi il fascino e la suggestione della
“festa” : il fuoco, come elemento sacro, dal chiaro significato catartico; la violaciocca,
fiore primaverile, per celebrare la fine dei rigori invernali e il risveglio della vita, il
fascino di un evento dalle forti connotazioni aggreganti, nel quale l’intera comunità
cittadina, ancora oggi, si riconosce .
Il fine settimana che precede la festa di San Giuseppe, la frazione marinara di
Donnalucata del comune di Scicli rievoca l’episodio evangelico della “Fuga in Egitto”
con una manifestazione ricca dei colori e dei profumi della stupenda terra di Sicilia: la
Cavalcata di San Giuseppe.
Le stradine del borgo si animeranno di personaggi vestiti con gli abiti tradizionali e
cavalli riccamente bardati con preziosi finimenti e manti di fiori. La tradizione vuole
che la fuga della Sacra Famiglia avvenne di notte e, per illuminare le tenebre, si
accendono dei falò lungo il cammino, i cosiddetti “pagghiara” di San Giuseppe.
Il passaggio del corteo, guidato e illuminato dalla luce calda dei fuochi, termina con la
premiazione della bardatura più bella mentre, i grandi mucchi di brace divengono
delle grandi grigliate che radunano tutti i partecipanti in una festa che sa di
appartenenza, di tradizione, di comunità, di famiglia.
Enna
Il 18 marzo cade la tradizionale giornata delle “Verginelle di San Giuseppe”.
Vengono invitate da una famiglia benestante 19 ragazze, o giovani nubili, che
appartengono a famiglie povere ma di sani principi.
Le fanciulle trascorrono la giornata tra canti religiosi, preghiere, messe nella Chiesa di
San Giuseppe e pranzo in comune.
Rosolini (Siracusa)
La devozione per San Giuseppe si manifesta con la tradizionale cavalcata, alla quale
assiste e partecipa tutto il paese.
Le strade vengono transennate per lasciare passare i cavalieri, che montano cavalli
sfarzosamente bardati, mentre nel pomeriggio , dopo la funzione religiosa, il
simulacro del santo viene portato in processione per le vie del paese sotto una pioggia
di volantini su cui è scritto “Viva San Giuseppe” .
Alimena (Palermo)
La mattina del 19 marzo si svolge il banchetto promesso al patrono.
Un tempo venivano invitati a sedersi alla tavola imbandita tredici ragazzi orfani e
poveri , i Virgineddi.
Favara (Agrigento)
La devozione al Santo costituisce una testimonianza concreta di fede e fervore
religioso.
In questo paese ogni mercoledì i fedeli si recano in pellegrinaggio alla chiesa del
Rosario, dov’e’ situata la statua del santo che regge per mano il Bambin Gesù.
Un tempo la festa si svolgeva il 19 marzo,invece oggi è stata spostata alla prima
domenica di settembre. I festeggiamenti in onore del santo cominciano di venerdì con
l’ingresso in paese di tre bande musicali di cui una locale e altre due provenienti da
altri centri.
I devoti, prima di portare in giro una piccola statua raffigurante il santo, usano recitare
per una settimana consecutiva la novena.
La precessione viene accompagnata dai fedeli che tengono in mano delle torce, le
caratteristiche Fanare , preparate con una pianta graminacea chiamata disa.
Nella piazza del paese viene allestito un palco sul quale verrà offerto il pranzo alla
Sacra Famiglia.
La domenica Mattina , vicino all’ingresso della chiesa, gli organizzatori della festa
raccolgono li prumisi, cioè le promesse dei fedeli .
I muli e i cavalli , per l’occasione, vengono bardati sfarzosamente con ricchi finimenti
e vengono caricati delle offerte di grano ; quindi vengono condotti dai contadini, i
quali reggono un grosso ramo di abete.
Questo bastone reca incisi dei grandi tagli, delle vere e propie tacche nelle quali sono
infilate le offerte in denaro, promesse per sciogliere un voto o come doni devozionali.
La festa si conclude con la processione della statua, che inizia la domenica
dell’Avemaria in un frastuono di spari di mortaretti accompagnati da imponenti
spettacoli pirotecnici.
Marettimo: (Isole Egadi)
Per festeggiare San Giuseppe è tradizione fare la Duminaria, che consiste
nell’accendere un falò o Vampi di San Giuseppe, l’uno vicino all’altro in onore di Gesù,
Giuseppe e Maria.
Ciò accade alla vigilia del 19 marzo, secondo una tradizione popolare per il quale in
santo rappresenta tutti i poveri che soffrono il freddo e la fame.
Il pranzo tradizionale viene preparato la mattina del 19 e la Sacra Famiglia è
impersonata ,secondo l’usanza , da tre persone scelte fra le più povere del paese.
Al pranzo partecipano tutti gli abitanti dell’isola mentre coloro che non possono
parteciparvi, vengono serviti a casa.
Nel pomeriggio i devoti del santo di dividono in due gruppi , di cui uno si dirige in
chiesa e l’altro si ferma all’esterno.
Una volta chiuso il portale il gruppo di fedeli rimasto fuori dalla chiesa comincia a
bussare mentre dall’interno chiedono: “Chi cercate?”. Dopo tre volte il portone viene
aperto e la statua di San Giuseppe compare sulla soglia.
Inizia così una pantomima in cui il gruppo dei fedeli che si trova all’interno della chiesa
cerca di trattenere la statua del santo, mentre l’altro gruppo tenta di portarla fuori. I
festeggiamenti si concluderanno con la processione.
Caccamo (Palermo)
Il 19 marzo si festeggia San Giuseppe con a rètina, una sfilata di muli bardati a festa
che, accompagnati dalla banda musicale, fanno il giro del paese per raccogliere
offerte.
Dopo la solenne funzione liturgica nella chiesa della Santissima Annunziata, il
simulacro del santo viene portato in processione lungo la scalinata illuminata da ceri.
Santa Croce Camerina (Ragusa)
Il culto di San Giuseppe risale a quando venne rivenuta su una spiaggia vicina ,
chiamata Punta Braccetto, una statua del santo.
A seguito di una serie di miracoli la statua venne collocata in una chiesa.
La tradizione locale festeggia il santo con una cena così descritta : “Non vi è famiglia
si S. Croce che per devozione non imbandisca una mensa per ricevere , in onore di San
Giuseppe , della Madonna e di Gesù, tre poveri , che sceglie fra le persone più
bisognose del paese.
“Il 19 marzo , i tre santi invitati alla cena e accompagnati da chi ha preparato il pranzo
votivo, vanno in chiesa per ricevere la benedizione.
Quindi si recano alla casa dov’e’ stata preparata la tavola imbandita per consumare la
cena; la tradizione vuole che i tre santi debbano bussare tre volte prima di entrare
Acate (Ragusa)
Nella tradizione popolare, chi ha ottenuto una grazia o spera nella intercessione del
Santo, usa preparare il “Pranzo Sacro” che viene offerto alla Sacra Famiglia,
impersonata, secondo l’usanza, da tre persone scelte tra le famiglie bisognose del
paese.
San Giuseppe, infatti, oltre ad essere il protettore degli orfani e delle ragazze nubili,
protegge soprattutto i poveri. Il “Pranzo Sacro”, o banchetto, viene chiamato
dialettalmente “avutaru”o “patriarca”.
Anticamente la preparazione dell’altare avveniva fuori dalle case, nei cortili o nella
piazza del paese; oggi, invece, viene allestito dentro casa.
La struttura in legno, è composta come base da un grande tavolo, dove pranzeranno
gli invitati, “i Santi”, e sopra, innalzati a gradini, delle tavole.
L’altare viene ricoperto da lenzuola bianche ricamate e al centro viene posto un
grande quadro che raffigura la Sacra Famiglia (“a Madonna, u Bamminu e u
Patriarca”).
Il cibo diventa quindi l’elemento principale nei festeggiamenti dedicati al Santo; la sua
preparazione richiede anche diverse settimane prima della festa, soprattutto per i
dolci tradizionali: “turruni, giurgiulena, pastifuorti, cicirata, pagnuccata, mastazzola,
mustata e varie marmellate”.
Il cibo più importante e simbolico è “il pane”, che segue un rituale ben preciso, fino
alla sua posa sull’altare, che spetta per tradizione al capofamiglia.
Le forme di pane votive riproducono:
– il bastone, “u vastuni do Patriarca”, decorato con un giglio simbolo di purezza;
– il pane di Maria, “a Madonna”, con una rosa che rappresenta la verginità e un ramo
di palma simbolo di pace;
– il pane di Gesù, “u Bamminieddu”, con gelsomini, uccelli e simboli della sua
Passione;
– i cucciddati, grandi forme di pani rotondi che vengono disposti al centro in alto.
Questi pani assumono un profondo significato sacrale, a cui la festa di San Giuseppe
allude esplicitamente poichè è legata all’arcaico simbolismo agrario del rinnovamento
della natura, che avviene proprio nel mese di marzo.
Oltre ai dolci e al pane, sui vari gradini vengono sistemati in parti uguali: sacchi di
farina, pacchi di pasta, frutta fresca, ortaggi, frutta secca e ogni ben di Dio.
La mattina del 19 si preparano tutte le pietanze che verranno consumate ancora
calde, come ad esempio tutti i tipi di frittate, “i piscirova” e le polpette; i primi piatti,
“i baddotti” (palline di riso in brodo) e “i cassateddi” (panzerottini di ricotta).
A mezzogiorno in punto, “i Santi”devono sedersi per il pranzo; vengono servite le varie
portate ed è molto importante che venga fatto almeno un assaggio di ogni cosa. Al
termine, tutto quello che era stato sistemato sull’altare e tutto il cibo rimasto, viene
donato in parti uguali ai tre commensali.
Nel primo pomeriggio, alcuni organizzatori della festa, girano per le vie di Acate e
raccolgono doni offerti dai fedeli.
Tutto il raccolto viene poi messo all’asta in Piazza Libertà , dove per l’occasione viene
allestito un palco dal quale il banditore effettua la vendita.
Il ricavato viene devoluto alla parrocchia per contribuire alle spese della festa.
La sera in Chiesa si celebra la Santa Messa in onore del Santo; i fedeli poi seguiranno
il simulacro per le vie di Acate e al rientro, i classici fuochi d’artificio “i mascuna o
mascattaria”, concluderanno i festeggiamenti.
Palazzo Adriano (Catania)
Il 19 marzo le famiglie che hanno ricevuto la grazia imbandiscono tavolate con diverse
pietanze (cardi e broccoli in pastella, “barbabecchi” asparagi e finocchi di montagna)
e dolci (pignolata, sfingi).
I commensali principali sono tre e rappresentano la Sacra Famiglia, ai quali il padrone
di casa serve le vivande della tavola
Mazzarrone (Catania)
San Giuseppe, ecco ‘la cena’ e la fiera “Tradizione in piazza”, In programma antiche
usanze, tramandate di padre in figlio, come la Cena di San Giuseppe, che viene
preparata da una delle famiglie del paese come voto per grazia ricevuta.
A banchettare sono tre persone scelte tra i poveri del centro e che rappresentano la
Sacra Famiglia.
Dopo aver partecipato alla Santa Messa, i tre personaggi pranzano con le specialità
preparate per l’occasione. Quel che resta viene donato ai tre, che lo offrono alle
rispettive famiglie.
La festa si chiude in serata, dopo la messa, sul sagrato della chiesa di San Giuseppe
dove si tiene una fiera nel corso della quale vengono venduti all’asta i doni offerti dai
fedeli, per lo più prodotti agricoli, pani confezionati in casa e formaggi.
Mirabella Imbaccari (Catania)
Altari, pranzi e rappresentazioni Omaggio a San Giuseppe: Tradizione vuole che nelle
case dei cittadini vengano allestiti gli altari imbanditi con vivande di goni genere, dai
tradizionali pani ai formaggi, agli sformati.
Accanto agli altari si trovano una bambina, un uomo e un bambino che rappresentano
la Sacra Famiglia. Prima di dare il via al grande pranzo si recita una preghiera in
dialetto.
Quindi si mangiano i cibi della tradizione, in particolare i pani: ‘u pagnuccu’, di grosse
dimensioni raffigura San Giuseppe; la ‘cuddura’, rotondo, riproduce la Madonna e, il
‘gaddu’, a forma di gallo.
Campofelice di Fitalia (Palermo)
San Giuseppe è il patrono di diversi centri della provincia palermitana, fra questi figura
anche Campofelice di Fitalia.
Il Patriarca, avvocato delle cause impossibili, protettore dei poveri, di chi soffre la
fame e il freddo viene festeggiato il 19 marzo e il 23 agosto.
In passato le persone benestanti allestivano nelle loro case mense ricche di pietanze,
le“Tavulate”, che venivano consumate dai poveri del luogo, invitati per l’occasione.
Tuttora in paese la tradizione del banchetto per la festa di San Giuseppe è molto
sentita. Anche se vanno diminuendo le case dove i devoti vanno a recitare per un
giorno il ruolo della Sacra Famiglia:San Giuseppe, Maria e Gesù. Continua a
conservarsi anche l’antica devozione della preparazione della “pasta di San
Giuseppe”: i bucatini conditi con le lenticchie.
Alimento votivo che assume in questa festa un significato sacrale a cui la ricorrenza
allude essendo legata al simbolismo del rinnovamento della natura. Inoltre, la
preparazione del pasto a base di lenticchie, come in tutte le feste di origine agricola,
ha anche un valore propiziatorio teso ad assicurare dei buoni raccolti e prosperità.
Ad agosto, i momenti culminanti della festa patronale sono costituiti invece da due
processioni: quella mattutina degli ex-voto, condotti a piedi scalzi o in groppa di cavalli
bardati a festa, e quella serale, quando i devoti seguono in preghiera la “vara” del
Santo per le vie del paese.
La data. Nel Calendario Gregoriano la festa di San Giuseppe come tutti sanno cade il
giorno 19 marzo. La Cavalcata di San Giuseppe viene celebrata a Scicli il sabato più
vicino a questa data e pertanto, nel 2015, il giorno 21 marzo. Questa è la festa iscritta
al Registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana (R.E.I.)1.
La Cavalcata di San Giuseppe

Che cosa è la Cavalcata di San Giuseppe. La Cavalcata è una manifestazione religiosa
a tutti gli effetti poiché rievoca la fuga della Sacra Famiglia in Egitto. Consiste nella
sfilata di cavalcature artisticamente bardate a mano con fiori, vere opere d’arte. Non
è una manifestazione ippica, anche se i cavalli sono magnifici esemplari e sono
splendidamente tenuti.
Eventi collaterali. Una importante e attraente anteprima della Festa cade nel sabato
precedente, nella frazione marinara di Donnalucata. Spesso si associa una sfilata di
carretti siciliani riccamente dipinti dagli artigiani locali e un mercatino di prodotti
tipici. Durante la settimana è possibile assistere alla bardatura dei cavalli e conoscere
i segreti dell’arte della bardatura presso il Museo della Bardatura (Scicli, via Spadaro).
La Festa. Innestata su un residuo di quei drammi sacri che si inscenavano nel Medio
Evo per propiziare un buon raccolto, gradualmente è stata “assimilata” dal
Cristianesimo per farne una festa religiosa in onore del Santo Patriarca.
Ricca di suggestioni è la lunga e laboriosa preparazione delle straordinarie bardature
dei cavalli; nei “dammusi” (ambienti a pianterreno delle abitazioni), un gran numero
di persone, su una orditura di rami di palme, ( oggi largamente sostituiti dalla tela di
juta), intesse migliaia di violaciocche (u bàlucu), componendo magnifici “quadretti”
raffiguranti la Sacra Famiglia e svariati simboli sacri.
I cavalli così bardati, montati da cavalieri vestiti con i caratteristici costumi della
tradizione contadina, muovono da un unico punto di raccolta, in prossimità della
piazza principale della città, dirigendosi verso il sagrato della chiesa dedicata al Santo;
qui, una commissione esterna esaminata l’originalità e l’effetto scenografico delle
bardature e dei “gruppi di cavalieri” e subito dopo, in un tripudio di suoni e al grido di
PATRIA’ – PATRIA’ -PATRIARCA!, il coloratissimo corteo, con la Sacra Famiglia in testa,
si snoda per le vie della città dove, in vari punti e quartierisono accesi i “pagghiara”,
falo’ attorno ai quali si raccoglie la gente del vicinato in attesa del passaggio della
“Sacra Famiglia”.
Ad accrescere la suggestione della caratteristica sfilata si aggiungono i”ciaccari”: fasci
di ampelodesmo che i cavalieri e la gente del popolo tengono in mano, accesi, per “far
luce” alla Santa Famiglia.
Oltre il fatto religioso, aggiunge colore al folklore la competizione trai gruppi dei
“bardatori”, i partecipanti che, nella “gara” mettono il massimo impegno nel
realizzare manufatti di altissimo pregio artistico ed artigianale.
I cavalieri indossano pantaloni e gilet di velluto nero, camicia bianca ricamata, fascia
multicolore intessuta ai fianchi, fazzoletto rosso al collo e ancora burritta, stivali e pipa
di canna; ogni cavallo viene “scortato” da altri personaggi, che durante la serata si
alternano lungo il corteo.
Negli anni questa manifestazione si è dovuta adattare alle mutate condizioni della
città. La rete di metanizzazione sottostante la pavimentazione stradale non consente
più gli enormi falò, con le cataste di frasche e masserizie, che si accendevano al
passaggio della Sacra Famiglia e dove venivano arrostite succulente pietanze a base
di carne; tuttavia la tradizione prosegue e intorno a piccoli fuochi accesi nei quartieri
della tradizione ci si riunisce per banchettare con salsicce e braciole che vengono
offerte ai passanti.
Restano intatti, gli elementi dell’antico rito e con essi il fascino e la suggestione della
“festa” : il fuoco, come elemento sacro, dal chiaro significato catartico; la violaciocca,
fiore primaverile, per celebrare la fine dei rigori invernali e il risveglio della vita, il
fascino di un evento dalle forti connotazioni aggreganti, nel quale l’intera comunità
cittadina, ancora oggi, si riconosce .
Il fine settimana che precede la festa di San Giuseppe, la frazione marinara di
Donnalucata del comune di Scicli rievoca l’episodio evangelico della “Fuga in Egitto”
con una manifestazione ricca dei colori e dei profumi della stupenda terra di Sicilia: la
Cavalcata di San Giuseppe.
Le stradine del borgo si animeranno di personaggi vestiti con gli abiti tradizionali e
cavalli riccamente bardati con preziosi finimenti e manti di fiori. La tradizione vuole
che la fuga della Sacra Famiglia avvenne di notte e, per illuminare le tenebre, si
accendono dei falò lungo il cammino, i cosiddetti “pagghiara” di San Giuseppe.
Il passaggio del corteo, guidato e illuminato dalla luce calda dei fuochi, termina con la
premiazione della bardatura più bella mentre, i grandi mucchi di brace divengono
delle grandi grigliate che radunano tutti i partecipanti in una festa che sa di
appartenenza, di tradizione, di comunità, di famiglia.